Work - Reloaded

Anche in Australia è legge il “Diritto alla Disconnessione”

In un’epoca dominata dalla connettività costante, l’Australia è l’ultimo dei Paesi ad aver introdotto il “diritto alla disconnessione”

Di Manuela Travaglini - Avvocato, Head Of Sustainability Observatory Assoholding

In un’epoca dominata dalla connettività costante, l’Australia è l’ultimo dei Paesi ad aver introdotto una legge che stabilisce il “diritto alla disconnessione” per i lavoratori, garantendo loro la possibilità di ignorare chiamate e messaggi di lavoro al di fuori dell’orario d’ufficio senza subire conseguenze.

La Normativa: Un Equilibrio tra Doveri e Diritti

La legge australiana, in vigore da fine agosto, si ispira a regole già presenti – con regole diverse – in oltre venti Paesi nel mondo, e mira a migliorare il work-life balance dei dipendenti: una sfida sempre più pressante nell’era digitale.

La legge australiana non vieta ai datori di lavoro di contattare i dipendenti fuori dall’orario lavorativo, ma stabilisce il diritto dei lavoratori a non rispondere, a meno che il rifiuto non sia considerato irragionevole. Nel caso in cui sorgano conflitti, la Fair Work Commission (FWC) australiana può intervenire come mediatore. Se il problema non viene risolto internamente, la FWC può ordinare all’azienda di cessare le comunicazioni o, al contrario, al dipendente di rispondere, qualora la mancata risposta fosse giudicata ingiustificata. Le sanzioni per il mancato rispetto delle disposizioni della FWC sono significative: fino a 19.000 (circa 11.000 euro) dollari australiani per i dipendenti e 94.000 (circa 57.000 euro) per le aziende.

Il lavoro invisibile

Un’indagine pubblicata l’anno scorso ha stimato che gli australiani lavorano in media 281 ore di straordinari non retribuiti all’anno. Questo dato evidenzia come molti dipendenti siano costretti a rimanere connessi e disponibili oltre l’orario ufficiale, in una sorta di “zona grigia” che non viene formalmente riconosciuta né retribuita. La nuova normativa vuole porre un freno a questa pratica, offrendo ai lavoratori la possibilità di ristabilire confini più netti tra la sfera lavorativa e quella privata.

Una tendenza globale

L’Australia si unisce così a un numero crescente di Paesi, principalmente in Europa e America Latina, che hanno adottato regole simili per contrastare l’erosione del tempo libero causata dalla tecnologia. La Francia, ad esempio, è stata pioniere in tal senso, seguita tra gli altri da Spagna, Belgio, Portogallo, Irlanda e prima ancora Italia. Questi Paesi hanno riconosciuto l’importanza di tutelare il benessere dei lavoratori, proteggendoli dalle aspettative di essere sempre reperibili, ma la legge non è uguale ovunque: e se in Portogallo c’è il divieto, per il datore di lavoro, di contattare il lavoratore fuori dall’orario di lavoro insieme al diritto per il lavoratore di almeno 11 ore di “night rest”, in Francia gli orari di disconnessione e le modalità operative sono definiti dalla contrattazione collettiva di settore. In Italia si è cominciato a parlare di diritto alla disconnessione già nel 2017, con norme man mano affinate da successivi interventi legislativi, ma la codificazione ha riguardato prevalentemente il lavoro da remoto. Ancora indietro il Regno Unito, ma il cambiamento è parte dell’agenda del nuovo governo laburista.

Le reazioni: entusiasmo e scetticismo

Le reazioni alla nuova normativa sono state miste. Alcuni lavoratori vedono la legge come una necessità in un’epoca in cui siamo costantemente connessi.

Altri, tuttavia, esprimono dubbi sulla reale efficacia della normativa: soprattutto per chi lavora in settori quali ad esempio quello finanziario, in cui la cultura della disponibilità continua è profondamente radicata, ci sono dubbi sull’applicabilità di tale norma, e la reperibilità è considerata (dagli stessi lavoratori) l’equo prezzo da pagare a fronte di stipendi ben sopra la media.

Vantaggi per tutti: un beneficio condiviso

Secondo alcuni esperti di gestione del lavoro chiamati a commentare la norma australiana, la nuova legge non è solo a vantaggio dei dipendenti, ma anche delle aziende: “ciò che giova al lavoratore, alla lunga, giova anche all’azienda” come ricordato alla BBC John Hopkins della Swinburne University of Technology.

La vera sfida più che legislativa è quella culturale. I settori in cui la reperibilità continua è la norma potrebbero trovare più difficile adattarsi alle nuove regole. Tuttavia, la crescente consapevolezza dell’importanza di un equilibrio sano tra vita privata e lavoro potrebbe portare, col tempo, a un cambiamento nelle aspettative sia dei datori di lavoro che dei dipendenti: il dibattito sull’equilibrio tra lavoro e vita privata è ormai avviato.