Rigenerazione

Il mazzo di chiavi: un circolo virtuoso

Seconda Chance è una associazione che fa da cerniera tra le carceri e le aziende disposte ad agevolare il reinserimento lavorativo dei detenuti a fine pena. Fondata da Flavia Filippi, Alessandra Ventimiglia e Beatrice Busi Deriu, permette di abbattere il costo del lavoro compiendo un gesto di grande valenza sociale.

Di Stefania Roveglia - Content Creator and Corporate Storyteller

Fare del bene per riceverne. Insegnare per imparare. È un circolo virtuoso la storia di Stefano e Massimiliano, un dare e avere che non conosce grandi gesti, se non quelli di una quotidianità vissuta ogni giorno in una tipografia nei pressi dell’Università Sapienza di Roma, tra il trambusto delle macchine, l’odore dolciastro dell’inchiostro e il vociare di studenti in fila per stampare la tesi. 

Ci sono modi e tempi diversi per ricominciare a vivere. Per mettere in fila le cose, fosse anche il caso a sistemarle. Quel caso in cui crede così fortemente Stefano, quel destino che l’ha messo un giorno sulla strada di Flavia Filippi, presidente di Seconda Chance, un’associazione del Terzo Settore che si occupa di agevolare il reinserimento lavorativo di detenuti a fine pena, usufruendo dei benefici concessi dalla legge Smuraglia. 

E così Stefano – che pensava che “in carcere ci stanno solo i cattivi” – è arrivato a Rebibbia. Ed è lì che ha conosciuto Massimiliano, nella sala colloqui dove, grazie al progetto di Seconda Chance e con la collaborazione della direttrice del nuovo complesso Rossella Santoro, imprenditori da tutta Italia incontrano ragazzi, uomini, donne che aspirano ad una seconda opportunità nella vita, dopo un percorso inframurario obbligatorio che li ha portati ad essere pronti per riaffacciarsi al mondo. 

Massimiliano “è un articolo 21”: un detenuto che ha la possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa dalle 8 alle 21. Ha quasi cinquant’anni e undici “di galera” alle spalle. Li chiama sempre così: anni di galera. Anni senza silenzio, con un costante brusio di sottofondo, anni in cui lasciar passare il tempo, la rabbia, il dolore, i sensi di colpa. Anni in cui Massimiliano – consapevole delle sue scelte – ha dovuto fare pace con ciò che mancava e accontentarsi di vivere con ciò che aveva. Un tempo lunghissimo in cui ha ricominciato a studiare, si è diplomato, ha imparato mestieri nuovi e ritrovato quelli di un tempo, lavorando su sé stesso “come mai aveva fatto” e accettando un po’ alla volta il pregiudizio, quello che sin dall’inizio della sua detenzione sapeva lo avrebbe aspettato una volta fuori. Un pregiudizio che spesso lo ha accolto da quando è stato inserito in questo percorso di reintegro sociale e lavorativo, ma che non ha trovato da Pioda, l’azienda in cui l’ha chiamato a lavorare Stefano. Dice una cosa bellissima mentre parliamo, Massimiliano: “Qui mi trasmettono il mestiere, nessuno si trattiene. Piano piano sono diventato indipendente, ora esco da solo per fare i preventivi ai clienti. Ho anche le chiavi del magazzino”. Assaggi di libertà che giorno dopo giorno diventano la normalità, in previsione di quando il futuro ricomincerà veramente per lui: il 24 luglio 2023, il suo fine pena. “Un giorno in cui festeggeremo insieme” ci tiene a precisare Stefano “perché io ho insegnato a lui, ma lui ha insegnato a me”. Una forma originale di reverse mentoring in cui ognuno impara qualcosa di importante, anche solo per vivere meglio. 

Tra meno di un anno Massimiliano tornerà un uomo libero, una persona nuova sotto tanti punti di vista, con diverse certezze, ma una sopra tutte: in carcere ci vuole tornare, da volontario questa volta, per parlare a chi “è ancora chiuso”, per raccontare la sua storia, per aiutare. Perché il buono che prendi prima o poi lo devi restituire e perché la fiducia passa dai gesti, dalle azioni, dalla speranza ritrovata di guardare al futuro. E anche da un mazzo di chiavi con cui aprire ogni giorno l’azienda di qualcuno che, come Stefano, ci ha creduto.