Sostenibilità

I Mondiali del Qatar e il sostenibile costo della sostenibilità

Il progetto “mondiali Qatar” dimostra al mondo che la sostenibilità non è un costo, ma un elemento fondante di qualsiasi strategia di business.

Di Enrico Foglia - Director and Co-founder at Regenerative Marketing Institute

Mi capita spesso di parlare con manager ed imprenditori degli investimenti che sono chiamati a fare in ambito sostenibilità. Anche se come individui hanno ben presente che la strada per le aziende che gestiscono è tracciata, non riescono a mascherare del tutto il fatto che per le loro organizzazioni la sostenibilità sia ancora vista come un costo che va tenuto sotto controllo per non compromettere gli obiettivi economici complessivi.

A loro dico sempre che il costo che si troveranno a sostenere se non mettono la sostenibilità al centro della propria strategia sarà molto più alto di quello che sono chiamati ad affrontare oggi. Gli studi che sto conducendo all’interno del Regenerative Marketing Institute dimostrano chiaramente che le aziende più profittevoli nel medio-lungo periodo sono proprio quelle più virtuose per come si relazionano con l’ambiente e con le comunità.

A tal proposito quello che sta avvenendo per i mondiali di calcio in Qatar rimarrà nei libri di marketing come uno degli esempi più evidenti di suicidio di una Industry che per anni ha garantito profitti enormi per milioni di persone in tutto il mondo.

Iniziamo ricordando che, anche se non sempre ne siamo consapevoli, tutti quanti noi facciamo scelte che solo in minima parte sono legate ad aspetti razionali come qualità, prezzo, convenienza, etc. In particolare per i beni non primari la scelta d’acquisto viene fatta per come quel prodotto o servizio ci fa sentire.

Il mondo dei fan del calcio è l’esempio più lampante di questo fatto. Si sceglie di seguire una squadra non in base alla sua probabilità di vittoria ma in base ad aspetti puramente irrazionali e personali: un genitore che ci ha portato per la prima volta allo stadio oppure un caro amichetto con cui da piccoli abbiamo visto una partita.

Una volta scelta la squadra per cui tifare siamo disposti a spendere molti soldi per vedere le sue partite, a sacrificare le nostre domeniche di riposo e a fare lunghi viaggi. E tutto questo anche nel caso in cui ci siano poche possibilità di assistere ad una vittoria.

Per una azienda, avere dei fan è una condizione ideale: sa di poter contare su di una costumer base altamente fidelizzata al quale vendere un prodotto che verrà acquistato indipendente dalla sua qualità e dal suo prezzo. Ma anche questa cuccagna ha un limite che non va mai passato: il tifoso-cliente deve sempre percepire che tutto il sistema attorno si muove secondo il suo sistema valoriale.

Ai tifosi basta avere due squadre in campo che si affrontano seguendo le stesse regole e nulla che turbi lo svolgimento della partita, tutto qui.

Ecco perché, durante i momenti di guerra, di pandemia o nei casi in cui siano state scoperte illegalità nell’applicazione delle regole del gioco (ad esempio  lo scandalo “calciopoli” di qualche anno fa), gli stessi tifosi sono stati i primi ad accettare senza proteste il fermo delle partite.

Gli organizzatori dei mondiali di calcio del Qatar hanno introdotto una strategia perfetta per distruggere questo il giocattolo.

Hanno snaturato le tempistiche dei campionati di calcio nazionali per organizzare un mondiale invernale, prima volta nella storia centenaria di questo sport.

Hanno realizzato stadi con aria condizionata, dei veri e propri mostri ecologici, e per realizzarli in tempo hanno sacrificato la vita di migliaia di lavoratori sottopagati e senza diritti sindacali.

Hanno portato una competizione, che dovrebbe essere una grande festa di sport, in un luogo senza tradizioni calcistiche che ha evidentemente comprato la possibilità di organizzare l’evento solo per trasformarlo in un grande spot di propaganda del Paese, nel quale le minoranze sono ancora discriminate.

Ultima azione, forse la più incomprensibile dal punto di vista dei veri tifosi: sono state assoldate orde di finti tifosi-attori da immortalare festosi nelle città del mondiale per far vedere adesione attorno a questa manifestazione, cosa subito notata e stigmatizzata dai veri tifosi.

Questa strategia non è passata sottotraccia: è già iniziato il tam tam mediatico di condanna da parte degli attivisti a cui si accoderà presto la pubblica opinione.

A quel punto neanche gli sponsor, molti dei quali come la Nike si dichiarano “brand activist”, potranno più far finta di nulla e fuggiranno a gambe levate per paura di perdere clienti, come del resto hanno fatto con Facebook ai tempi dello scandalo di Cambridge Analitica sulla gestione dei dati.

Quanto costerà alla fine al business system del calcio (organizzatori, sponsor, atleti) quello che sarà ricordato come il mondiale meno sostenibile della storia di questa manifestazione?

Se mai ce ne fosse ancora bisogno, Il progetto “mondiali Qatar” dimostrerà al mondo una grande verità: la sostenibilità non è un costo, ma è un elemento fondante di qualsiasi strategia di business.